13 Novembre: Giornata mondiale della Gentilezza

Il 13 novembre si celebra la giornata mondiale della gentilezza.

E gentilezza e felicità vanno di pari passo.

Vi è mai capitato, infatti, di sentirvi improvvisamente felici per un gesto di gentilezza, magari inaspettato? A me sì, molto spesso. E quindi, ricambiate, ricambiate a piene mani e di gusto, non solo oggi, ma ogni giorno. Spesso un semplice gesto, un grazie, un sorriso, fanno la differenza.

C’è una frase famosa che circola già da un po’, ma che mi piace molto e che vi riporto volentieri:

“Praticate atti di gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso”            (Anne Herbert)

E’ un po’ l’essenza della gentilezza: Non c’è bisogno che ci sia un senso, un motivo, tanto meno un tornaconto per essere gentili. Dispensare gentilezza a casaccio ogni volta che riusciamo, sarebbe una rivoluzione. E dunque, cerchiamo di essere gentili  con gli altri, gentili con la natura,  gentili con noi stessi!

michelangelo-71282_1280

 

Perché la gentilezza rassicura, riscalda, unisce.

La gentilezza celebra:  le relazioni, la natura, la vita.

 

Cercare o smettere di cercare?

Mi scrive una lettrice (che ringrazio per avermi contattato: e sì, è un invito a scrivermi i vostri pareri e le vostre impressioni!) contestandomi l’idea che la felicità vada cercata: per lei la felicità è qualcosa che arriva, specialmente quando non la si aspetta.  Non dipende da noi. Quindi, paradossalmente, meno la cerchiamo e più felicità arriva.

Vero. E falso allo stesso tempo.

E’ vero che accanirsi non porta la felicità, anzi, se diventa un’ossessione l’idea di essere felici porta all’esatto opposto, come tutte le volte che ci attacchiamo troppo a un’idea rischiamo di perderne di vista la sua stessa essenza. Del resto persino Buddha ci ricorda che non esiste una vita priva di sofferenze…e se lo dice lui…

Però possiamo scegliere, almeno nella maggior parte dei casi, sicuramente quando dipende da noi, quanto meno di non essere infelici: e non è poco.

Per tornare al viaggio: diciamo che  il viaggio alla ricerca della felicità non può essere…  una crociera, che per quanto bellissima, se vista come ricerca continua e ossessiva del divertimento, alla lunga stancherebbe e forse annoierebbe persino.

Piuttosto,  la ricerca della felicità è come una passeggiata in montagna: sentieri nel bosco che rasserenano, radure in cui correre a perdifiato, erba da annusare, fiumi da attraversare, sassi e fiori… Discese, ma anche salite, scivolate, ostacoli. Si cade e ci si rialza. Ci si stanca e a volte si riposa (e si mangia cioccolato per ritemprarsi!) … per arrivare alla fine e sentirsi in cima al mondo, circondati dal cielo!

man-2706901_1280

Eh, sì.

La felicità è quel senso (intimo e infinito) di far parte del tutto.

Il viaggio: il primo passo dipende da noi!

Verso l’infinito e oltre!
(Buzz Lightyear da Toys’ Story)

Spesso e volentieri siamo noi stessi l’ostacolo più grande alla ricerca e alla costruzione della nostra felicità.

Non ci autorizziamo ad essere felici. 

Capita che, a volte, ci portiamo sulle spalle un’educazione per cui prendersi del tempo per noi stessi è considerato egoismo, non parliamo poi dell’essere felici!
Cresciamo all’ombra del comandamento “prima il dovere e poi il piacere”, in cui il dovere alla fine tende sempre a prevalere, anche oltre al comune senso di responsabilità (non per niente lo stress è uno dei mali maggiori della nostra società!)

In quest’ottica diventa proprio difficile sapere dire di no.

Talvolta siamo talmente abituati ad anteporre i bisogni degli altri ai nostri, o a paludarci dietro bisogni esteriori, superficiali che non sappiamo più nemmeno che cosa vogliamo, che cosa ci farebbe stare meglio. Ci sentiamo persino egoisti al solo pensiero di avere NOI bisogno di qualcosa!

Eppure, tutti abbiamo i nostri bisogni da soddisfare, necessari per la nostra sopravvivenza e per la nostra evoluzione, da quelli indispensabili per la nostra stessa sopravvivenza fisica (fame, sete…) ai bisogni di sicurezza, di appartenenza, di successo, di realizzazione di sé.

Ed è’ importante comprendere questi nostri bisogni, le nostre aspettative, i nostri desideri o aspirazioni più profondi, veri, autentici. Il bisogno è una mancanza che noi percepiamo, che ci porta disagio, ed è anche la molla che ci spinge ad agire. Ci muoviamo in una direzione, e quella direzione è determinata anche dai nostri bisogni.

Negarli è deleterio, causa stress, insoddisfazione, repressione, ansia.

Riconoscerli, soddisfarli, non è egoismo, è prendersi cura di sé e solo in questo modo potremmo prenderci cura anche degli altri!

Certo, a volte confondiamo felicità con  la ricerca del piacere a tutti i costi e questo  ci può sopraffare e spingere verso direzioni se non sbagliate, quanto meno poco funzionali: cerchiamo scorciatoie per essere felici, e il mondo ne è pieno: alcol, droghe, pornografia, persino la tv, i social, il cibo… Ma questa non è felicità! Veniamo bombardati continuamente da stimoli che alla lunga ci allontanano da noi stessi. Non dimentichiamo mai che solo rispettando noi stessi possiamo imparare a riconoscere e a rispettare anche il mondo in cui viviamo e la gente che ci circonda.

Eppure spesso non sappiamo leggere i nostri bisogni, pensiamo di non averne, oppure ci aspettiamo che siano gli altri a soddisfarli…

Neheart-1998051_640lla mia ricerca, mi sono imbattuta in un metodo piuttosto curioso per entrare in contatto con i propri bisogni, proposto da Igor Sibaldi: la tecnica dei 101 desideri. Questa tecnica consiste, brevemente, nello stilare una lista di 150 desideri per poterne poi estrapolarne 101. Al di là della promessa, quasi cabalistica, di vedere realizzati alla fine questi desideri, scrivere questa lista mette obbligatoriamente a contatto con i propri bisogni, sogni, desideri, aspettative. 150 desideri è un numero enorme: ma, promette Sibaldi, se si insiste, con questa tecnica cambia il modo con cui si osserva il mondo, offrendo una maggior percezione dei propri bisogni, non solo materiali, e anche delle opportunità che ci si presentano. Soprattutto ci si allena a chiedere, e all’idea di ricevere. Se non abbiamo percezione dei nostri bisogni, infatti, spesso è proprio perché, per educazione magari, non ci autorizziamo o non siamo abituati a ricevere.

A prescindere da tecniche più o meno esoteriche o sofisticate, abituarsi a scrivere, di getto, senza pensare, lasciando emergere tutte, ma proprio tutto ciò che ci attraversa la mente, senza censure, è un potentissimo strumento di scoperta di sé stessi. Anche per scoprire i nostri bisogni.

Provate!
Che cosa è emerso?
E’ stato facile o difficile?
Siete stupiti del risultato ottenuto?

Fatemi sapere!