Il Viaggio. Perché partire, perché (spesso) restiamo.

IIn teoria, a pensarci bene e razionalmente, è tutto molto facile.
Se ti chiedessero, infatti, se scegliere di essere felice oppure no, sfido chiunque a scegliere il “no”.
Ma è sempre così?

 

La zona di comfort.

Tutti noi abbiamo un ambiente (inteso magari anche come serie di abitudini, di situazioni), fullsizeoutput_e2bin cui ci sentiamo particolarmente a nostro agio.
“Zona di comfort” è un termine morbido, piacevole, solo il nome ci rilassa.
Ebbene, ancora una volta le apparenze ingannano.

Per “zona di comfort”  intendo quella sorta di territorio in cui riusciamo a muoverci sentendoci sufficientemente sicuri e a nostro agio. E viviamo tutti in molte zone di confort: nelle nostre relazioni, nel posto di lavoro, anche con riguardo alla nostra salute e al nostro benessere. La zona di comfort nasce e si sviluppa in base alle nostre esperienze, alle nostre convinzioni e si traduce spesso in sicurezza e abitudini.

Il vantaggio è che siamo, o ci sentiamo, al riparo dai rischi, al sicuro, Il posto dove sappiamo con ragionevole certezza le conseguenze delle nostre azioni.
Lo svantaggio è che spesso, proprio per questa sicurezza che ci garantisce, non vogliamo uscirne. Anche se, magari improvvisamente, questa zona è diventata troppo “stretta” per noi.

Attenzione, ben vengano le zone di comfort, ci mancherebbe, è indispensabile avere un rifugio dove trovare sicurezza e certezze.

Il problema nasce quando la zona di comfort diventa una trappola, quando non vogliamo uscirne: e, fondamentalmente, questo capita per paura.

E allora, magari, restiamo intrappolati in relazioni sbagliate perché abbiamo paura della solitudine. Oppure ci trasciniamo ogni mattina a un lavoro che odiamo perché abbiamo paura di restare senza mezzi di sostentamento. Oppure non cerchiamo di fare carriera perché abbiamo paura di non essere all’altezza. Non facciamo qualcosa che ci piace o che ci farebbe star bene perché abbiamo paura del giudizio degli altri… potrei scrivere un papiro sulle paure più comuni, tutti ne abbiamo, chi più chi meno.

Abbiamo paura, spesso, del cambiamento.
Ma la vita stessa è cambiamento, e non si può non cambiare, cambiamo ogni secondo, ogni istante non è uguale a quello precedente!

La resistenza al cambiamento per molti è quasi nel DNA: quante volte i nostri nonni, i nostri genitori, i nostri maestri  ci hanno detto “chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, ma non quel che trova”.

Vero, verissimo, e del resto, un po’ di sano pragmatismo e razionalità,  anche un pizzico di prudenza, non guasta. Ma qui non si tratta di essere avventati. Si tratta di riconoscersi il diritto di essere felici. O almeno di provare ad esserlo, di stare meglio.

E dobbiamo smetterla di pensare che la nostra felicità ci piova a caso giù dal cielo (a volte capita, sì, ma si tratta di momenti rari e illuminati!)

Diceva Einstein: “Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi”.

A volte basta un piccolo gesto per uscire da una comfort zone che si sta trasformando in trappola. Non è necessario partire con grandi imprese.

Innanzitutto, riconosciamole con onestà, queste zone, senza giudicarle e sopratutto senza giudicarci. Accettiamo la loro esistenza. Spesso sono state conquistate con fatica e ci hanno protetto, solo sono diventate strette.

Quando cresciamo, cresce anche il piede e non possiamo pretendere di portare sempre le stesse scarpe, anche se fino a ieri erano perfette!

Questo è il primo passo: vedere le cose, dare un nome, riconoscere. Una volta volta fatto questo, identifichiamo una piccola cosa che possiamo fare per stare meglio.

E…facciamola!

Perché, come disse il venerabile filosofo cinese Lao Zi:i

 “Anche un viaggio di mille miglia inizia con un passo.”

Basta poco….

In fondo, non è successo niente.

E’ solo capitato, come talvolta accade a chiunque, di essermi alzata “con il piede sbagliato”: troppi pensieri per la testa, un po’ di preoccupazione, qualche problema da risolvere,  la lista delle cose da fare che incombeva come un macigno… e, per questo, un peso sullo stomaco e la mente chiusa a riccio sui miei guai.

Poi ho guardafullsizeoutput_df0to fuori dalla finestra, e ho visto una calda luce autunnale illuminare l’ultima fioritura dell’anno, accendendola di un rosso tenue. E ciò che ho visto mi è sembrata così invitante, così dolce, così bello che mi sono resa conto che con il mio stato d’animo negativo, semplicemente, rischiavo di perdere questa piacevolezza inaspettata.

Allora ho fatto pochi, piccoli esercizi per aprire il respiro, e ho respirato a fondo: tre, cinque respiri profondi e pieni e la prospettiva è cambiata.

Intendiamoci: i pensieri, i problemi, la lista delle cose da fare sono ancora lì che mi aspettano.
Ma hanno perso gran parte del loro potere.

Perché mi sono accorta di un piccolo raggio d luce e, accogliendolo, ho lasciato il sole entrare nella mia mattina.

 

 

 

 

 

p.s. e la giornata mi ha regalato poi momenti bellissimi… e pochi problemi 🙂

Un nuovo traguardo

Oggi voglio  condividere con voi un altro traguardo raggiunto quest’anno: ieri ho superato l’esame e sono diventata Maestra di Reiki.
Ma che cos’è reiki?316px-Reiki-old-style.svg

Il nome REiKI evoca l’unione tra l’energia universale (REI) e quella individuale (CHI): c’è chi vede la sua applicazione pratica come una tecnica, per me è piuttosto un’arte: l’arte di vivere in modo pieno, consapevole e coerente;  l’arte di riequilibrare l’energia che scorre in tutti i noi.
L’ideogramma reiki rappresenta proprio questo: l’energia universale  scende verso la terra e viene raccolta dagli uomini che si rendono disponibili ad accoglierla e a diffonderla, per risalire poi in un moto fluido e continuo verso il cielo, lasciando in dono un piccolo chicco di riso, nutrimento per la nostra crescita personale.
Reiki è prima di tutto uno stile di vita, basato su 5 precetti:

Solo per oggi

non ti arrabbiare

non ti preoccupare

Lavora diligentemente

Onora i tuoi genitori

Sii grato

Spesso in un trattamento reiki si può sperimentare lo scorrere dell’energia e un grande senso di rilassamento.

Proprio per questa sua prerogativa di portare benessere e vitalità, REIKI è considerato un metodo di guarigione alternativo, riconosciuto e praticato anche in alcuni ospedali, nel mondo e in Italia.

Il suo fondatore, Usui, un monaco giapponese vissuto tra il 1800 e i primi anni del ‘900, ha definito REIKI come:

“L’arte di invitare la felicità, la medicina spirituale per tutte le malattie”

Ci sta, no? in quest’ottica il mio diploma diventa un altro passo di questo lungo viaggio verso la felicità.