Eleonor Oliphant sta benissimo (come la gentilezza può cambiare la vita)

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Ecco un libro che vi consiglio davvero. Un bellissimo romanzo, di quelli che non lasciano indifferenti.

Si Intitola “Eleonor Oliphant sta benissimo”, ed è è stato scritto da una autrice esordiente,  Gayl Honeyman, edito in Italia da Garzanti.

 

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Ma che cosa vuol dire, per Eleonor, stare bene?

Che poi: “Sto bene” …..im-fine-1470450_640

A volte quando ti chiedono “come stai?”… alzi la mano a hi è capitato di rispondere “sto bene” anche quando verrebbe  voglia di dire “sto male, anzi malissimo”. Perché si sa già che nella maggior parte dei casi chi ti ha posto la domanda non ha veramente intenzione di sapere se e quanto stai bene o male. La risposta corretta  e universalmente accettata è “bene”. 

Al massimo potrebbe essere un “bene, dai” o un “facciamocela andare bene” accompagnata da un sospiro rassegnato. E questo è accettabile: vuol dire “va tutto a rotoli, ma vedi come sono forte/paziente/rassegnato/santo/santa? me la faccio andar bene”… ed esonera l’altro da indagare.

Il brutto è che a volte rispondiamo “sto bene” anche a noi stessi. 

E ci crediamo davvero. 

Ma è davvero così?

Eleanor Oliphant sta bene.

“Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: benissimo.

Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido, perché sto bene così. Ho quasi trent’anni e da nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate, la mia passione. Poi torno alla mia scrivania e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient’altro. Perché da sola sto bene. 

Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata dalla prigione. Da mia madre. Dopo, quando chiudo la chiamata, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto.

E se me lo chiedete, infatti, io sto bene.

Anzi, benissimo.

O così credevo, fino a oggi”.

A volte ci trinceriamo dietro un tutto nostro “va bene”. Ci creiamo routine, abitudini che ci aiutano ad arrivare a sera senza troppi pensieri. Ci nascondiamo dietro dipendenze, in casi più gravi. E’ una morbida corazza che ci protegge. A volte dura tutta la vita.  Una sorta di ovatta in cui avvolgere le nostre emozioni, per non ascoltarle troppo. A volte capita qualcosa che ci scuote. E non necessariamente è qualcosa di sconvolgente.

Perché oggi è successa una cosa nuova. Qualcuno mi ha rivolto un gesto gentile. Il primo della mia vita.

E questo ha cambiato ogni cosa. D’improvviso, ho scoperto che il mondo segue delle regole che non conosco. Che gli altri non hanno le mie stesse paure, e non cercano a ogni istante di dimenticare il passato.

Forse il “tutto” che credevo di avere è precisamente tutto ciò che mi manca. E forse è ora di imparare davvero a stare bene.

Anzi: benissimo… (…)

Per Eleonor Oliphant inizia un viaggio, non semplice ma necessario, alla ricerca della sua verità, della sua vita. Un viaggio che la porterà a toccare il fondo per poter poi riemergere.

stop-2816449_640Stop!! Non dico più niente del libro, perché “Eleonor Oliphant sta benissimo” merita davvero di essere letto, scoperto pagina dopo pagina (e senza spoiler!). Una protagonista e una storia che rimangono nel cuore; il dramma, la solitudine e la rinascita di Eleonor sono raccontati con una semplicità disincantata, disarmante,  con una garbata ironia a tratti pungente. 

Solo una considerazione finale.

Il cambiamento di Eleonor ha inizio da un gesto di (comune) gentilezza.

Si, gentilezza.

In un mondo in cui “gentilezza” è troppo spesso sinonimo di “debolezza”, quando veniamo a contatto con il suo potere dirompente rischiamo di uscire scioccati.

Perché la gentilezza è un potere sottile, è contagiosa. E chi ne viene contagiato spesso si ritrova a sua volta a compiere gesti di gentilezza… 

Non sottovalutiamo questo potere.

Coltiviamo la gentilezza, cerchiamola, diffondiamola!

Pratichiamo la gentilezza:  verso di noi, verso gli altri.

E poi annotiamo come ci sentiamo.

Sicuramente: bene.

Anzi, benissimo!

Uno dei regali più grandi nella mia vita…

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…anche se all’inizio, a dirla tutta, proprio un regalo non mi è sembrato. Anzi.

 

Talvolta nella vita sembra che tutto si fermi.

Immaginate la scena: state viaggiando con la vostra automobile e, senza motivo apparente, senza pensarci, d’improvviso frenate bruscamente. Non è piacevole! E vi trovate fermi, a domandarvi perché mentre le altre macchine vi sorpassano strombazzando a tutto volume (e magari, anzi probabilmente, non sono solo colpi di clacson che volano).⁉️

Non le vedete nemmeno.  Sapete solo di essere fermi, ma con una gran voglia di correre.

Ci si trova spettatori della propria vita, spettatori del proprio copione. Talvolta con effetti devastanti.

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Avevo poco meno di 40 anni quando mi è capitato. Nel frattempo mi ero diplomata, “vaccinata”, laureata, sposata, partorito tre volte e traslocato almeno altrettante volte, passato attraverso lutti, cambiato lavoro, cambiato città. Non posso certo dire che sia stata una vita monotona, e nemmeno priva di soddisfazioni, anzi, eppure, quando mi sono chiesta come sarebbe stata raccontarla ad altri. mi è venuto da sbadigliare al solo pensiero. 

Poi un giorno, su una rivista, mi sono imbattuta in un’intervista a una signora 80enne che raccontava come, raggiunti i 40 anni, di fronte alla “sua” brusca frenata, si fosse chiesta che cosa avrebbe fatto nel resto della sua vita. Bene, ha ripreso a suonare il pianoforte ed è diventata concertista. Mi spiace davvero molto non ricordarne il nome, perché le devo molto: avermi condotto a pormi la stessa domanda.  Mi ha reso consapevole di quanto sia importante non smettere mai di sognare, di mettersi alla prova, di reinventarsi.

Ovviamente, era qualcosa che già stava maturando in me. E’ proprio curioso come a volte sembra “per caso” di trovarsi davanti a uno specchio (nel mio caso un articolo di giornale) e di vedersi per la prima volta.

L’impatto di questa scoperta non è sempre stato facile: è stato l’inizio di un periodo di crisi, di cambiamento che mi ha creato, in principio, quasi  più problemi che soddisfazioni. Però ora, ripenso a quegli anni  con una sorta di tenerezza e di gratitudine, perché mi hanno portato a riconoscere chi sono, a lasciarmi indietro abitudini e credenze, convinzioni e giudizi che mi bloccavano, ad abbandonare copioni che non mi appartenevano più; ad avere più fiducia in me stessa, a dedicarmi alle mie passioni, magari lasciate un po’ in disparte, come la scrittura ad esempio.

Ho scoperto che è possibile reinventarsi, rispolverando talenti, concedendosi possibilità, andando alla ricerca di nuovi angoli dell’anima e del cuore tenuti nascosti, allineandosi ai propri valori, scoprendo nuovi punti di vista, accettando a volte e a volte ribellandosi. 

Tutto questo grazie all’impegno personale, è necessario voler mettersi in gioco, certo, ma ho imparato anche l’importanza,  in questi momenti, di saper chiedere aiuto.

Grazie quindi al counseling, al breathwork, riprendere il contatto con il mio respiro è stato fondamentale, alla mindfulness; sono grata a chi mi ha accompagnato in un percorso di crescita personale – poco  astratto e molto funzionale- un viaggio incredibile e con risultati che non avrei mai immaginato, lo stesso viaggio che vi propongo ora nei miei percorsi.

Mi è stata regalata una domanda; e la forza e la curiosità di cercare la risposta, la mia risposta.

Un punto interrogativo che ha segnato una svolta, un nuovo inizio.

Un dono importante, uno dei più preziosi che abbia mai ricevuto.

Vi voglio rilanciare allora questo dono: che possiate trovare anche voi la risposta alla “vostra domanda”.

L’avete già trovata?

 

Vi aspetto come con gioia: nei commenti, se volete scrivetemi:

bottegafelicitacounseling@outlook.it

Elena

Hygge: come essere felici.. alla maniera danese ( e un pizzico di mindfulness)

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Pochi giorni fa mi sono imbattuta, sul sito de “Il Corriere della Sera”, in una intervista a Meik Wiking, direttore dell’Happiness Research Institute di Copenhagen.

Articolo che potete trovare qui:

https://www.corriere.it/buone-notizie/18_settembre_03/sono-l-uomo-piu-felice-mondo-vi-svelo-mia-ricetta-ee068632-af8b-11e8-8b32-ed1119b5e5f1.shtml

In questo articolo si accenna alla, ormai proverbiale, felicità dei danesi,  e a quello che viene da loro chiamata “hygge” (pronuncia impronunciabile 😉 ), ovvero, riassumendone il concetto, l’arte di stare bene – anche nell’inclemente inverno danese.

Wilking è anche autore di un delizioso libro dal titolo “Hygge – la via danese alla felicità”:

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in cui cerca di elencare tutto ciò che dai danesi è considerato “hyggelig”: dalle candele all’illuminazione in generale, da una tazza di thé a un paio di calzettoni caldi, al godersi l’intimità della propria casa in compagnia di amici.

’Hygge’’ , semplificando,  significa trovare la felicità nelle piccole cose di ogni giorno.

E’ un concetto molto caro ai danesi. Tutto, si può dire, inizia dal clima e dalla storia, considerato che Il clima danese prevede circa 171 giorni di pioggia all’anno, temperature intorno ai 17 gradi d’estate. Ed è forse questo  clima piuttosto ostile, che ha portato a cercare conforto nelle proprie  casa, che si trasforma in  un rifugio caldo e ospitale, spesso con luci soffuse e accoglienti, meglio ancora se da condividere con gli amici.

(Devo essere stata tra i pochi ad avere avere avuto una visione “calda” e meravigliosa di Copenhagen – con 28 gradi, sole, cielo terso e i suoi abitanti boccheggianti o pronti a tuffarsi nei canali.)

Anche la storia della Danimarca ha avuto in un certo senso un impatto sulla ricerca dell’hygge: circondati da nemici e limitati sempre di più territorialmente, dalla visione espansionistica degli antenati vichinghi si sono sempre più orientati all’interno, anche nella ricerca del benessere.

Ultimamente “complice” dell’ hygge è anche una certa prosperità: in fondo: quando i bisogni principali sono soddisfatti, quando si vive in un ambiente in cui è possibile abbastanza facilmente conciliare lavoro e vita personale, vi è più spazio per la ricerca del benessere, non solo materiale, ma come stile di vita a tutto tondo.

E’ un tipo di felicità molto diversa rispetto ai parametri normalmente, o culturalmente se vogliamo, utilizzati in Italia,  (anche se non mi piace generalizzare, né in un caso né nell’altro) più tranquilla, introversa, intima.

Ma, entrando un po’ nello specifico, in che cosa consiste? Hyggelig sono tutti quei momenti che rendono speciali le nostre giornate, che permettono di scrollarci di dosso il peso del lavoro, delle preoccupazioni dei pensieri, per lasciarsi semplicemente ..vivere.

candles-2332674_640E’ quindi importante sapersi ritagliare spazi hyggelig durante la giornata, ovvero momenti in cui una grande importanza ha lo Stare insieme: passare tempo con persone care, in modo rilassato e consapevole, godendo la compagnia di chi ci fa sentire al sicuro e a nostro agio. E saper ricevere, inteso come mettere davvero a proprio agio gli ospiti come se fossero a casa propria. E’ saper chiedere “come ti senti?” prima che “come stai?” (anche, forse sopratutto, a sé stessi!

Hygge è saper guardare il mondo con lo spirito aperto dei bambini, con la loro curiosità. E’ ritrovare il calore che ti regalano quando racconti loro la favola della buonanotte, quando crei per loro un ambiente pieno di attenzione (e all’educazione dei propri figli, anche all’hygge, i danesi ci tengono molto). E’ ritrovare la loro innata voglia di giocare, prendendo sul serio i loro giochi!

L’hygge migliore resta sempre quello spontaneo e inatteso! lo sappiamo bene tutti, anche se danesi non siamo: le piccole gioie inaspettate sono quelle che ci gratificano maggiormente. 

 

Il libro elenca quelli che sono elementi imprescindibili dell’Hygge:

  1. Atmosfera:  (luci soffuse e calde)
  2. Presenza (niente smartphone quando si è con gli amici, please!)
  3. Piacere (caffè, cioccolato, torte – ho mangiato delle torte a Copenhagen che solo a pensarci mi viene fame!)
  4. Parità (non prevaricare ed essere collaborativi, non monopolizzare la conversazione, ad esempio)
  5. Gratitudine (“fatela vostra: potrebbe essere la cosa più bella del mondo”)
  6. Armonia (Gli amici, le persone care,  vi accettano già: non avete bisogno di mostrare chi siete o quanto siete importanti o di vantarvi dei vostri successi: rilassatevi!)
  7. Confort (mettevi comodi. fate una pausa, è tutta una questione di relax!
  8. Tregua (niente drammi; c’ è tempo per discutere di politica…)
  9. Condivisioni (creare rapporti, ricordi, complicità…)
  10. Riparo (Hygge è un luogo di pace , di confort e di sicurezza)

Sorvolo invece sulle ricette danesi più “Hygge”: (sì, perchè anche il buon cibo contribuisce alla felicità!) Ebbene, cari amici danesi, sia detto senza offesa e con affetto, ma in questo gli italiani restano imbattuti!

Mi è piaciuto moltissimo il paragrafo sui “cinque dimensioni” dell’ hygge (molto in atmosfera mindfulness!)

  • il suo sapore, dolce e confortante;
  • il suo suono, il crepitio della legna che brucia, la pioggia fuori, il canto del vento…
  • il suo odore: quando capita che un odore ci riporti a sensazioni, magari dell’ infanzia, in cui ci siamo sentiti protetti e al sicuro (per me l’odore dei mobili di legno e di cera o di un mazzetto di erbe aromatiche, ma ognuno ha il suo…)
  • le sensazioni tattili (accarezzare il legno, o un animale domestico, o la seta sulla pelle)
  • il suo aspetto: guardare il mondo con la luce giusta 

E anche “il sesto senso dell’hygge”: quella indefinibile, ma netta sensazione di stare bene, di essere felici!

Mi attira, mi attira molto questo concetto di hygge: forse perché sono un tipo abbastanza introverso, amo l’intimità e la tranquillità alla base di questa filosofia. E apprezzo l’empatia di fondo, lo stare bene insieme agli altri perchè ci sente sulla stessa lunghezza d’onda, senza “fronzoli”, mettendo gli ospiti a proprio agio e facendoli sentire accolti.

 flower-2416883_640Amo il piacere delle piccole cose, vissute pienamente, godendo il momento presente, con tutti inostri sensi, come parte essenziale di quella piccola, ma importante, felicità che possiamo costruisci ogni giorno. E’, questo, un concetto  sta prendendo piede: ecco perché, ad esempio si parla tanto di mindfulness. 

Ci sono molti detrattori a questo modo di vivere concentrati sul qui e ora: ritenendolo un modo per sfuggire alla realtà, per chiudersi in un mondo proprio. Eppure, penso che saper stare bene con sé stessi, creare silenzio, sapersi ascoltare,  godere l’intimità della propria casa in compagnia di pochi amici “giusti” sia anche questo un punto di partenza per potersi aprile al mondo. Stare bene con sé stessi, per stare bene nel mondo. Perché ciò avvenga, tuttavia, non deve essere una scusa per chiudere gli occhi sulla realtà, ma piuttosto per rigenerarsi.

In fondo, se tutti facessimo pace e sapessimo vivere in pace con noi stessi, forse il mondo sarebbe un posto migliore.

E sapere che in qualsiasi momento possiamo crearci un piccolo istante hygge… aiuta. 

Aiuta molto.

Se vi ho incuriosito e volete leggere il libro, lo trovate facilmente su amazon:

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La felicità è una cosa pratica, che si può imparare, anche con un percorso di counseling (e il primo colloquio è sempre gratuito)

Vi aspetto con gioia

Elena

Su fine agosto e sull’arte di sognare

Un po’ per caso questa settimana è nata all’insegna dei sogni.

E’ ancora agosto: e anche se ho già ripreso il solito tran tran sento ancora sulla pelle la lentezza dell’estate e, a dirla tutta, sono restia a separamene: parla di vacanza, di natura, di silenzio. Parla, appunto, di sogni. Anche la luna piena di questi giorni, incredibilmente grande, rossastra, incantata, sembra invitare ai sognare.

Il sogno è l’infinita ombra del Vero.

(Giovanni Pascoli)

Godiamoci allora le prime ombre lunghe delle sere di fine agosto, sature di estate e preludio di autunno, prima di farci prendere dall’ansia dei buoni propositi settembrini… di cui avremo modo di parlare. Dal prossimo post sarò più pratica, promesso ☺️

Si apre con questo articolo una nuova rubrica del blog (un piccolo sogno da realizzare?), che parlerà di libri, racconti e poesie. O meglio si parlerà poco e si ascolterà molto, come si conviene, del resto a un sito che nel counseling (e quindi nell’ascolto) vuole avere il suo fulcro. E mi piacerebbe molto, quindi, dare spazio alle vostre voci. Sapere che cosa ne pensate dei brani che vi proporrò, non tanto sull’aspetto letterario, piuttosto sulle emozioni, sulle sensazioni sulle reazioni, positive o negative, che vi susciteranno. Mi piacerebbe, magari, anche pubblicare pezzi vostri… mi aiuterete? Per me è importante e, insieme, potremmo creare qualcosa di piacevole: un altro piccolo pezzetto di felicità.

Inizio con un piccolo racconto a cui per certi versi sono molto legata. E’ di fantasia, certo, di sicuro è un mio sogno.

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Il venditore di sogni.

Mi alzo come al solito ogni mattina e sorrido.

Adoro il mio lavoro, per me ogni alba è una soddisfazione. 

Come ogni sera, del resto. 

Mi siedo lì, sullo scalino di casa mia, un bicchiere di buon vino, una sigaretta, la musica del vento, e guardo in cielo la luna e le stelle. A loro racconto la mia giornata. Poi svolgo il pacchettino che ho confezionato pian piano durante il giorno e lo spedisco su. Lo guardo salire a poco a poco, disfacendosi dolcemente, sfilandosi a poco a poco. Lo osservo mentre diventa sempre più sottile ed evanescente, fino a diventare poco più consistente di un filo di fumo, fino a scomparire da qualche parte, non ho ancora ben capito dove, lassù, nell’universo.

Poi posso finire la giornata, spengo un po’ la luna, non troppo, e mi addormento.

Di mestiere faccio il Venditore di Sogni.

Credete sia facile?

Niente affatto.

C’è più diffidenza nei miei confronti che in un venditore porta a porta di enciclopedie passate di moda o di aspirapolveri o di truffe.

Prendete la divisa che mi tocca indossare, per esempio.

Il “Regolamento per il Perfetto Venditore di Sogni” prevede calzettoni a righe bianche e rosse, brache bianche al ginocchio e una giacca rossa con alamari dorati. Consigliati capelli impomatati e baffi all’insù. Ora, ditemi voi se ad andare in giro agghindati così non si rischia di sembrare un pochino ridicolo. Specialmente se si deve girare con il piccolo carro regolamentare, che assomiglia molto ai carretti dei gelati che si vedono talvolta dipinti sui libri di fiabe vecchio stile.

E poi, non è mica facile trovare i clienti giusti.

Prima di tutto devono essere speciali. Devono crederci, nei sogni. Devono volerli. Con il cuore e con l’anima. 

Vedete quel signore là? Lui sogna di vendicarsi di un torto subito. Non posso certo regalarglielo, quel sogno, non credete? Certi colleghi lo fanno, ma io no. Io preferisco sogni gentili, garbati, forti e intensi, passionali ma buoni. Cosa ci volete fare. Sono fatto così. Non diventerò mai ricco, lo so, ma non posso farci niente. Sono fatto così.

E quella bambina? Sta giocando felice sulla piazza, creando bolle di sapone, correndo, ridendo, ogni tanto guarda di soppiatto la sua mamma e sorride. Ecco, sapete, lei non sarà mai una buona cliente. Lei i sogni li ha già. 

La sua mamma, piuttosto. Siede sul muretto che circonda un’aiuola, sulla piazza, e guarda sua figlia con gioia mista a orgoglio, come solo le mamme sanno fare. Ma il suo cuore non è felice. Di sottecchi sta osservando un uomo, seduto su una panchina a pochi passi da lei. Anzi, da qui posso vedere la sua mente che febbrilmente sta cercando di calcolare quanti sono, quei passi che la separano da lui. Cinque? Sei? Ma che importanza ha, sta pensando, a volte pochi metri equivalgono a migliaia di chilometri. L’uomo si sta asciugando una lacrima e lei vorrebbe asciugarla con un bacio, ma non può. Vorrebbe abbracciarlo stretto stretto, ma non può. Vorrebbe stringerlo a sé e amarlo, ma non può. E deve stare seduta lì, su quel muretto, tra bolle di sapone che volano alte come i suoi sogni.

Anche loro non saranno mai buoni clienti.

Sognano già.

Perché?

Perché sanno sognare, ecco tutto. Perché sono miei vecchi clienti! Ci credete se vi dico che fino a poco tempo avevano quasi rinunciato a sognare? Poi mi hanno incrociato per caso, e invece di ridere e tirare dritto si sono avvicinati e, timidamente, un po’ diffidenti, sottovoce, per non farsi sentire dall’altra gente mi hanno chiesto: “Scusi, quanto costa un sogno?”

E hanno avuto il coraggio di pagare tutto il prezzo! Sì, davvero, giuro, è proprio così! E allora una sera ho svolto il pacchetto contenente i loro desideri e l’ho guardato salire al cielo, verso la luna, come un filo argentato. E i due fili si sono intrecciati come per magia, così anche i loro sogni si sono uniti. E si sono trovati a sognare insieme.

Pagando il prezzo richiesto, per intero, niente sconti (su questo sono piuttosto categorico: niente sconti, niente credito).

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Perché un sogno non ha prezzo.

O forse, ha un prezzo altissimo.Quanto?

Crederci sempre, e non lasciarlo svanire.

E ora scusate, mi devo spostare con il mio carrettino, sta arrivando il vigile, non vorrei prendere la multa – si vede che è uno che non sa sognare. Certo mi piacerebbe vendergli un sogno… quando ci riesco in questi casi, credetemi, è una soddisfazione enorme.

Ma no, capisco che non è giornata.

E allora riprendo il mio cammino.

“Sogni, sogni belli! Venghino, signori, venghino, vendo sogni……. sogni belli, sogni!”.

E.T

Avete mai incontrato un “venditore di sogni?” State attenti a ciò che vi circonda: il suo carretto può essere ovunque ☺️

Del resto, Tutti abbiamo un sogno, anche se a volte è nascosto.

Bisogna però saperne pagare il prezzo.

Crederci, e non lasciarlo svanire.

Siete disposti a farlo?

 

Elena

Come scorre la tua energia?

Ci sono attività che, anche se fisicamente o mentalmente stancanti, in realtà ci riempiono di energia. Altre, magari anche meno impegnative, ci fanno sentire spossati e senza forze.

Prendi ad esempio quando pratichi uno sport che ti piace, o quando fai un lavoro che ti piace: non ti accorgi del tempo che passa e anche se ti stanchi molto, alla fine ci si sente soddisfatti  e “carichi”. Pensa invece quando passi il giorno a compilare i modelli per le tasse, a fare la fila in posta, a discutere con clienti molesti o con la suocera.. capito ora che cosa intendo? Non sono attività fisicamente o mentalmente stancanti, ma quanto dispendio di energia comportano?

Nelle nostre giornate è praticamente impossibile fare solo ciò che ci sembra leggero, piacevole, appassionante e che rande fluida e viva la nostra energia… la nostra è vita è fatta anche da impegni o eventi che eviteremmo volentieri, routine antipatiche, ostacoli: è inevitabile. Però quando le attività “pesanti” prendono il sopravvento, si arriva a sera stanchi, nervosi, frustrati,; avete presente quando si ha l’impressione di non aver combinato niente pur avendo corso tutto il giorno? 

Per fortuna è possibile fare qualcosa per cercare di migliorare la situazione. Vediamo come:

  • Prova  a scrivere un elenco delle normali attività di una tua giornata, poi classificale in “azioni energizzanti” e “azioni svuota-energia”. Da che parte pende la bilancia?
  • Analizza poi le tue azioni “svuota-energia”: quante sono effettivamente utili o necessarie e di quante invece potresti fare a meno (ti stupirà scoprire di quanto possiamo alleggerire  il nostro carico di cose da fare!)  Includi in queste anche quelle azioni che ti fanno sentire impegnata mentre in realtà ti fanno soltanto perdere tempo  (un esempio? passare troppo tempo sul web o davanti alla tv senza nemmeno troppo interesse per  ciò che ci scorre davanti agli occhi, tanto per dirne una).
  • Prova a chiederti infine dove la tua energia vorrebbe incanalarsi. Che cosa potrebbe dare un nuovo vigore, ravvivare la tua vita?  Non è necessario pensare subito a grandi cambiamenti, potrebbe essere sufficiente dedicarsi a un hobby, prendere tempo per una passeggiata, programmare un viaggio… 

E infine un piccolo esercizio  – molto piacevole, prometto! Non riuscirete a dire di no 🙂

Per una settimana impegnamoci  a chiudere la giornata dedicando anche solo 15 minuti di tempo a qualcosa che ci piace, ci rasserena e ci fa stare bene: una passeggiata, ascoltare musica, leggere un romanzo, ballare… concludiamo con un momento di silenzio, con qualche minuto dedicato al nostro respiro. Lasciamolo fluire, pieno, profondo, concentriamoci sull’aria che entra e che esce. Per qualche minuto, restiamo in ascolto.

Senti l’energia scorrere fluida?

Anche questo contribuisce a costruire la nostra felicità (e fa bene all’anima

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“L’acqua della fonte resta fresca e rinfrescante solo se continua a scorrere. In caso contrario diventa insipida e perde la sua forza. sorgente vuole sgorgare dentro di te, ma vuole anche scorrere via, raggiungere gli altri.”

(Anselm Grün – Cosa fa bene all’anima)

Quand’è che la vostra vita è incominciata veramente?

Oggi sono curiosa, e vorrei proporvi una domanda che mi è stata fatta di recente.

 

Quando è che la vostra vita

Ok: sicuramente un punto di svolta epocale (anzi IL punto di svolta per eccellenza) è stato il momento vero e proprio  della nascita!

Ma ci sono altri istanti nella vita che si imprimono nella mente e nel cuore in modo speciale, indelebile, perché  sono stati talmente significativi da aver causato cambiamenti di tale portata, che magari ci hanno anche travolto come tsunami, ma che, a ripensarci bene, possiamo considerare delle vere e proprie rinascite.

Punti di svolta.

A volte si è trattato magari di attimi di felicità intensa, a volte anche senza motivo.

A dieci anni, durante una passeggiata, mi sono trovata sull’orlo della val di Tede, e guardandomi intorno ho pensato che fosse la casa di dio. Mi sono sentita felice e appagata ed è stato uno di quei momenti in cui, sentendoci parte di tutto, il mondo si apre ai nostri occhi in modo nuovo; tanto è vero che è un ricordo indelebile: mi basta chiudere gli occhi per rivivere quella fantastica sensazione; mi sento come tornata a casa.

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Anche i momenti in cui ci si innamora, sono istanti speciali, in cui sembra di rinascere

A volte, invece, i punti di svolta, sono associati a periodi di crisi profonda. 

Sono quei momenti in cui sembra che non ci siano vie d’uscita.

i momenti in cui dobbiamo imparare a lasciar andare (e quanto è difficile!)

i momenti in cui quando qualcuno ti dice “vedrai che passerà” o “guarda che è dalle crisi che nascono le opportunità migliori” tu vorresti solo strozzarlo! 

Di uno dei miei “punti di rinascita” mi ricordo persino la data: era il 16 agosto di qualche anno fa. Mi sono svegliata di punto in bianco, di notte, con questo pensiero: “Ho due strade di fronte a me: o mi lascio andare e cado in depressione, oppure mi do una mossa e do una svolta alla mia vita” . Ovviamente era la sintesi di un lungo periodo di crisi e di riconsiderazione della mia vita, ma mi ha portato a dedicarmi al counseling e continuare in modo più significativo nel mio percorso di crescita personale. A ritrovare me stessa attraverso il respiro, e wow, che cambiamento è stato!

Sì, a pensarci ora, non è stato un periodo facile, ma lo ripercorro quasi con affetto per il bene che ne è nato. E’ consolante pensarlo. Sapere che veramente i momenti di crisi possono nascondere i semi di una nuova vita.

Se ci prendiamo cura di noi.

Se ci crediamo.

 

E, dunque, quand’è che la vostra vita è incominciata veramente?

Se volete, condividetelo nei commenti 🙂

Meglio donne che dee!

Giovedì 7 giugno 2018, ore 18:45 (ieri, ora che scrivo)

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Una stanza vuota può essere piena: di emozione, di attesa, di lavoro, delle persone che, di li a  poco, la riempiranno materialmente.

Le foto di questa pagina testimoniano un’attesa:  pochi minuti all’inizio di una nuova avventura.

Ho il piacere di collaborare con la mia amica Cecilia Tagliabue in due incontri di consapevolezza , prendendo spunto dalla mitologia greca, in particolare dalle dee greche.

Ieri sera  è stato il turno delle dee “vulnerabili”: Era, Demetra, Persefone e, con  esse, abbiamo esplorato il ruolo di madri, mogli e figlie (per scoprire che, forse, donna è meglio che dea 🙂 )

Un argomento appassionante (e anche divertente!) un gruppo di 7 meravigliose donne e 1 coraggiosissimo uomo, un emozionante viaggio alla ricerca di sé stessi, delle proprie risorse, delle proprie infinite possibilità, con un piccolo excursus anche nei meandri del nostro respiro, ovviamente :-D. Due ora letteralmente “volate”, con profondità e leggerezza.

Settimana prossima (giovedì 14 giugno) affronteremo le dee vergini (Atena, Artemide e Estia) e la dea per eccellenza, Afrodite.

E, a richiesta, a settembre si replica!

 

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Se vi ho incuriosito e volete saperne di più, contattatemi:

bottegafelicitacounseling@outlook.it

 

Vi aspettiamo con gioia!

Elena & Cecilia

 

Irrequietezza

Vorrei il vento, stasera.

Il vento mi piace, io detesto il vento.

Vento che scompiglia capelli e pensieri, che sa essere carezza gentile e schiaffo

Vento da correrci dietro e che ti rincorre,

Vento da rotolarsi nell’erba cantando al cielo.

Vento che rispecchia le contraddizioni della mia anima.

 

Vento che fa emergere, a fior di pelle, quella sensazione strana che si chiama

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E’ qualcosa che mi manca, ma che non ha nome

mi agita, senza farsi vedere,

mi chiama, ma non ha parole.

E’ una presenza, un presagio?

Un indefinito senso di aspettativa…

Cerco di scacciarla, per accorgermi  che  è un dono prezioso.

E’ il vento del cambiamento che bussa alla mia porta?

Allora mi siedo, l’accarezzo piano, e ascolto la sua canzone.

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Vi capita mai di sentirvi irrequieti? Che cosa fate in quei momenti? Condividetelo nei commenti!

Vi aspetto con gioia, Elena

Qui si parla di etichette, di ruoli e di identità personale

  • “Ciao””
  • “Che lavoro fai?”
  • “Quanti anni hai?”
  • “Sei sposata?”
  • “Hai figli?”

Penso che a tutti capiti neanche troppo raramente, di incappare in questa serie di domande (più o meno modificata al bisogno) all’inizio di una conoscenza, sia che ci siano rivolte oppure che siamo noi a porgerle. Sono domande ritenute innocue e neutrali,  giusto per  iniziare a conoscere la persona che ci sta di fronte e sopratutto a inquadrarla.

Uhm.

Attenzione però che quando rispondiamo a queste domande veniamo automaticamente catalogati  (e viceversa) in base al nostro interlocutore. Ecco perché si parla dell’importanza di fare una buona prima impressione: veniamo spesso etichettati nei primissimi minuti di conoscenza, e spesso questa etichetta ci resta incollata addosso e può essere poi difficile venirne fuori. Per giunta, come accennavo prima, le risposte sono filtrate dall’interlocutore, dal suo modo di pensare, dalla sue esperienza, talvolta dall’età a volte persino dall’umore.

Prendiamo la prima domanda. Metti di rispondere  alla domanda che lavoro fai con: “Sono casalinga”

Le reazioni potranno essere queste, ad esempio, a seconda di chi ci troviamo davanti:

  •  Donna/uomo lavoro-dipendenti: “un’altra che non fa niente dalla mattina alla sera”
  • Altra casalinga: “quanto ti capisco!”
  • Attivista per le pari opportunità: “ma ne esistono ancora? Un’altra vittima del sistema”
  • Uomo ageé e nostalgico “Ah, ma allora esistono ancora questi angeli del focolare…”

Oppure se rispondi alla seconda domanda che sei sposata, se di fronte a te c’è…

  • una donna single non per scelta  penserà: “beata te!”
  • una donna single per scelta : “poverina, ma chi gliel’ha fatto fare!!….”
  • un uomo marpione sposato “alè! ci posso provare senza rischiare nulla”
  • un uomo single in cerca dell’anima gemella: “peccato <era> carina….”

ovviamente questi sono casi limiti e aderenti a mooolti stereotipi.

L’esempio mi serve solo per far notare come spesso noi siamo inquadrati dalle persone in base ai ruoli che noi ricopriamo e spesso purtroppo conditi pure da stereotipi e filtrati dalla percezione dell’altro.

Intendiamoci, i ruoli servono e sono utili a scandire le nostre occupazioni.  Il problema, per noi e per la nostra felicità è come noi stessi intendiamo e viviamo questi ruoli.

Se gli estranei ci leggono in base al loro modo di pensare, alle loro esperienze, come ci vediamo noi?

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Prendiamo ad esempio il lavoro.

Spesso veniamo valutati  e addirittura identificati con il lavoro che facciamo, ma a prescindere dal giudizio altrui, come ci percepiamo noi?  

Se amiamo il lavoro che facciamo, non ci importa, anzi può essere persino gratificante (essere il mega  presidente dei monopoli mondiali riuniti può sicuramente fare un certo effetto).  Ma se, al contrario, non amiamo il nostro lavoro, se lo percepiamo come un peso,  se non lo troviamo soddisfacente o in  linea con i nostri valori, o se non abbiamo un lavoro, essere identificati con cosa facciamo può essere molto pesante. 

Iniziamo allora a non cadere noi in questo tranello. Ricordiamoci:

Noi svolgiamo un lavoro,

ma noi NON siamo il nostro lavoro!

Ripetiamolo spesso, finché diventa un concetto che sentiamo nostro, anche a livello emozionale.turkey-Fotor

E’ un esercizio molto utile, questo! Anche e forse soprattutto per il mega presidente dei monopoli mondiali riuniti, che magari può smettere di girare attorno come un tacchino tronfio e recpurare un po’ di autenticità! 😀

Separare chi sono da ciò che faccio  è un primo passo importante  (e non solo per quanto riguarda il lavoro!) che consente:

  • di osservare la situazione  da una diversa angolazione:
  • di poter chiarire a noi stessi che cosa vogliamo davvero, dove siamo e dove vogliamo arrivare?
  • di trovare nuovi modi di affrontare il problema, che sia cambiare o restare.

Come sempre non esistono bacchette magiche, ma tanti piccoli passi che possono fare la differenza. Pensate alla vostra situazione lavorativa (e poi magari analizzate anche vostri ruoli):

  • Vi trovate o vi siete trovati a identificarvi con il vostro lavoro/ruolo?
  • Come vi sentite in merito?
  • Dopo aver provato  l’esercizio, percepite dei cambiamenti?

Come sempre vi invito a condividere nei commenti le vostre impressioni e, se volete approfondire qualche punto,  scrivetemi un ‘email 🙂

Vi aspetto con gioia!

Elena

labottegafelicitacounseling@outolook.it

Accettazione o Rassegnazione? Se si tratta di scegliere…

La vita è difficile.

Ehi, che notiziona! Si doveva proprio leggerlo, per scoprirlo… 😎

Di problemi ce n’è davvero per tutti.

A volte sono situazioni “esterne”, su cui abbiamo poco margine di intervento: una malattia, nostra o di un nostro caro, un lutto, un licenziamento… 

In molti altri casi invece si tratta di problemi che  magari hanno origine da un evento esterno, ma che sono poi ingigantiti dal nostro modo di pensare: “mi ha lasciato perché non valgo niente” “Non sono mai capace di combinare qualcosa di utile” “ Non troverò mai un compagno perchè sono troppo  bella/brutta/magra/grassa/scema/intelligente…” (eh sì, siamo davvero abili a complicarci l’esistenza).

E può capitare che, quando ci stiamo crogiolando tranquilli nel nostro mare di m… ehm, di molti problemi, pensando che la vita è uno schifo, che noi siamo terribili, che non se verrà mai fuori, che niente cambierà mai (a ciascuno la sua lamentela preferita), arriva lo pseudo guru di turno a dirci che dobbiamo “accettare”.

Col cavolo, viene da dire, o per lo meno è quello che è venuto in mente a me  quando, per la prima volta, mi è stato proposto di “accettare”. Ma come, ho pensato, sono arrivata a questo punto per cambiare le cose, per migliorare la mia vita, per migliorare me stessa e mi si sta dicendo che devo accettare??? Scherziamo?? Per me è stato un concetto davvero difficile da digerire. Anche perché mi sono scontrata con un mio pensiero un po’ distorto, ovvero che accettazione fosse in definitiva un sinonimo di rassegnazione. Concetto che mi ha sempre infastidito parecchio, forse perché hanno cercato in molti di inculcarmelo in mente, ma è uno stile di vita che non mi è mai appartenuto.

E’ solo quando ho capito che si tratta di due concetti ben diversi che ho iniziato a considerare l’idea di accettazione (della vita e dei suoi problemi, ma soprattutto di me stessa) come un inizio per creare quel miglioramento che andavo cercando.

Che siano due concetti diversi si comprende già dal loro dal significato intrinseco:

Rassegnazione è (e qui copio dal dizionario): “Accettazione della volontà altrui anche se contraria alla propria; disposizione dell’animo ad accogliere senza reagire fatti che appaiono inevitabili, indipendenti dal proprio volere: soffrire, patire con santa, eroica rassegnazione;(AMEN – n,d,a))

o ancora: 

“la disposizione, considerata virtuosa, di chi si adegua consapevolmente a uno stato di dolore o di sventura”.

Penso che sia sufficiente la definizione per capire che NON è certo questo che vogliamo per noi e per la nostra vita, (nonostante a una parte della nostra cultura piacerebbe moltissimo una massa di rassegnati)!

E, a dispetto di quanto recita il dizionario, non sempre la rassegnazione è virtuosa (scusate, mio parere personale).

Accettazione, invece, vuol dire “prendere in carico”: è una azione-attiva. 

woman-2944070_640Certo, la rassegnazione ha in sé una componente di accettazione, ed è vero anche il contrario: accettare  vuol anche dire smettere di combattere: contro i nostri difetti, contro le circostanze, le situazioni, i pensieri.  Vuol dire arrendersi, ma è una resa che presuppone anche la volontà di lasciar andare, con gentilezza, con amore, con compassione, per trovare nuovi modi di affrontare le cose, o, se necessario, nuove strade da percorrere.

Accettare è anche smettere di evitare di affrontare le cose che non ci piacciono, di noi, o della nostra vita.

Accettare è un punto di partenza.

Rassegnarsi è un punto di chiusura (non c’è niente che possa fare). A volte è anche una scusa: la frase “che vuoi farci, sono fatto così” vi è familiare? Questa frase non è sintomo di accettazione- attiva! Anche per questo accettare è un primo passo importante per la nostra crescita.

E per capirne il perché, mi avvalgo di una frase di Jodorowsky:

“La cosa importante è accettare se stessi. Se la condizione in cui mi trovo è causa di malessere, è segno che la rifiuto. Allora, più o meno coscientemente, tento di essere diverso da come sono; in definitiva non sono io. Se, al contrario, accetto pienamente il mio stato, troverò la pace. Non mi lamento del fatto che dovrei essere più santo, più bello, più puro rispetto a quello che sono ora. Quando sono bianco, sono bianco, quando sono nero, sono nero, punto e basta. Questo atteggiamento non impedisce che continui a lavorare su di me per poter diventare uno strumento migliore; l’accettazione di sé non limita le aspirazioni, al contrario, le nutre. Perché ogni miglioramento partirà sempre da ciò che si è realmente” 

Per essere davvero noi stessi dobbiamo quindi imparare ad accettare tutto di noi, pregi e difetti, ciò che va bene e ciò che va male.Accettare è ritrovare pace, è guardarci allo specchio osservandoci, ma senza giudicarci. Anche l’accettazione contribuisce a costruire la nostra autentticità, la nostra felicità!

E’ vero che ci sono davvero cose che non possiamo cambiare; e a questo proposito mi viene in mente una bellissima preghiera, che vi riscrivo qui sotto:

Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscerne la differenza.

Ma per tutto quello che è in nostro potere cambiare, per poco o tanto che sia, accettiamo, non giudichiamo, e diamoci da fare, senza rassegnarci, ma con gentilezza, rispettando i nostri tempi, e ricordando che anche un piccolo gesto, una piccola azione a volte ha effetti di portata stupefacente!

Proviamo a pensare, stasera, ci sono situazioni in cui siamo riusciti ad accettare? E altre in cui è invece ancora difficile? Se volete, condividete nei commenti o scrivetemi una mail se volete approfondire.

Vi aspetto con gioia

Elena